RINNEGATI - 10/09/1000 - LoK'TaR

Il sentimento che provava era un misto tra delusione e felicità. Non sapeva bene come vivere quella cosa. Doveva ammettere che tre boccali di birra al volo, dopo quella scazzottata e dopo un lungo periofo di astinenza; il tempo passato con Damien, prima di accettare quell'incarico a Darokin era stato un lungo periodo di acqua e tisane alle erbe, iniziavano a farsi sentire.
La delusione per la sconfitta un poco lo faceva rosicare, aveva infatti perso con un tappo. Vero che era largo quanto lui, ma era pur sempre un tappo. La felicità invece era per aver trovato un degno compagno di bevute.
Sorrise e battè la mano sulla spalla al nano guercio per poi accorgersi che gli esploratori erano tornati, e c'erano anche Banedon ed Ayame. La faccia del mezz'orco si fece interrogativa. Ma Ayame non doveva stare con Ulderì ed Arbea, con l'altro gruppo? Non ci provò nemmeno a capire o decifrare il perchè di quella presenza con loro, ma si limitò a sorridere.

Poi alla domanda di Banedon si fece serio.

"Se serve garantire per lui, lo faccio io..." disse guardando il nano.

A volte si capiva molto di un uomo, o di un nano, era la stessa cosa, bevendoci assieme piuttosto che parlandoci.

Ascoltò le varie proposte: il lasciare la locanda, il trovare un posto per dormire, l'andare al porto, il dividersi, il cercare il criceto, o forse era un topo antropomorfo, l'attaccare una certa tizia o forse intendevano il topo e qualcuno suggeriva di uscire dalla mura cittadine, forse per andare in un'altra locanda, ma che senso avrebbe avuto uscire se le locande erano dentro le mura? Forse avevano detto del porto per prendere una nave per andare fuori dalle mura. Però le navi non vanno sulla terra. Ed allora perchè parlare del porto? Ecco, forse l'unica cosa chiara era che iniziava ad avere sonno e voleva dormire.

Sgranò gli occhi per restare lucido. Tutte quelle idee gli entravano nella testa come radici di un albero ed iniziavano a crescere e ad attorcigliersi l'un l'altra creando una matassa di pensieri tra la quale era impossibile districarsi. Come diceva sempre suo nonno da parte di madre, un vecchio orco piegato dalle fatiche degli anni e dalla pelle rugosa e dura come la roccia.

"Hai braccia forti e grandi mani, usa quelle. Non districare le radici dell'albero dei pensieri; prendi un'ascia e spaccale!".

Idealmente sollevò la grande ascia bipenne e la fece calare con forza su tutti quei pensieri.

Rimase così con lo sguardo un poco perso ad attendere che si decidesse cosa fare.

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